Sono trascorsi 10 anni dal referendum sull’acqua del 2011. Ma, a distanza di un decennio, la fotografia che abbiamo è quella di un Paese che non ha saputo cogliere le opportunità della vittoria referendaria basata sulla difesa e sulla tutela dell’acqua come risorsa e bene comune.
La voce dei 27 milioni di cittadini che allora si sono pronunciati per cancellare la normativa che induceva alla privatizzazione nella gestione del servizio idrico e il relativo profitto è rimasta del tutto inascoltata: i costi che gravano sui cittadini sono sempre più alti e la volontà di speculare su tale bene non è mutata.
Nel nostro Paese il problema dell’acqua è duplice: da un lato abbiamo infrastrutture in molti casi obsolete, che disperdono questa preziosa risorsa (dispersione che in media negli acquedotti italiani è del 35%), e sono quindi necessari interventi e investimenti importanti. Il secondo aspetto della questione riguarda la gestione del ciclo dell’acqua: i cittadini pagano in ogni bolletta una “quota per investimenti”, cioè una percentuale per l’ammodernamento della rete. Si tratta però di un servizio mai erogato: come stabilito da recenti sentenze, il cittadino non è tenuto a ripagare gli interventi straordinari e tantomeno l’eventuale approvvigionamento straordinario di acqua tramite autocisterne. A ciò si aggiunge che se la rete è colabrodo, in realtà raccoglie anche forme inquinanti, perché l’acqua non solo si disperde ma durante il percorso raccoglie prodotti inquinanti che poi finiscono nell’acquedotto: tutto questo è gravissimo, anche perché il cittadino paga in bolletta per il costo della fognatura e della depurazione.
È urgente realizzare e attuare il piano di investimento previsto dal PNRR sulle infrastrutture idriche sull’ammodernamento degli acquedotti, che potrebbero avere tre effetti positivi: evitare dispersione e inquinamento, creare occupazione, introdurre legalità, perché in molte zone l’acqua, tramite le cisterne, viene controllata da organizzazioni illecite.
Inoltre, come promotori del referendum per l’acqua pubblica nel 2011, esigiamo che il risultato della consultazione venga rispettato e ci opponiamo ai tentativi di far gestire il settore da parte dei privati che, troppo spesso, in questi dieci anni si sono ripetuti, a livello nazionale e internazionale.
Basti pensare che, a dicembre del 2020, il colosso statunitense CME specializzato nello scambio di future e strumenti derivati, ha inaugurato il primo mercato dei future sull’acqua di Wall Street (The Nasdaq Veles California Water Index futures). Da allora su questo bene prezioso incombe non più solo l’ombra della privatizzazione (solo apparentemente scampata nel nostro Paese grazie a un referendum oggi ancora in molti casi disatteso), ma anche quella della speculazione finanziaria.